noci sulla pianta
Noci, da raccogliere a maturazione e da consumare presto.
Noci e nocciole, due frutti secchi della tradizione italiana: buoni e salutari, meritano di comparire in tavola tutto l’anno, non solo a Natale

C’è stata un’epoca, quando l’Italia era un Paese prevalentemente contadino, in cui accanto alle case in campagna c’era sempre almeno un albero di noce, mentre la parte di terra non coltivata attorno all’edificio (che oggi chiamiamo “giardino”, ma allora serviva per varie operazioni agricole) era delimitata rispetto ai campi anche con cespugli di nocciolo.

Queste piante avevano tutte le funzioni tranne quella ornamentale: fornivano legna da ardere ma anche legname per realizzare ottimi e durevoli mobili (il noce veniva piantato d’abitudine tutte le volte che nasceva una figlia: tagliandolo al momento del matrimonio e vendendone il legno, se ne ricavava la dote per la ragazza); l’albero regalava una refrigerante ombra estiva, il cespuglio abbondanza di rami per intrecciare panieri, ed entrambi donavano generosamente i propri frutti, veri scrigni di energia in tempi di alimentazione poverissima, assicurando la serbevolezza per tutto l’inverno; infine, i gusci svuotati si utilizzavano come efficaci accendifuoco nel caminetto.

Dal Dopoguerra, con l’abbandono delle campagne e, soprattutto, con la “civiltà del benessere”, noci, nocciole e la frutta secca in generale hanno perso quella valenza di alimento fondamentale per gli Italiani, venendo sempre più confinati nel ruolo di “sfizio” da consumare preferibilmente in occasione delle festività natalizie, a conclusione del pasto, peraltro già abbondante e ipercalorico. Peccato, perché così questi frutti si trasformano in un vero e proprio “macigno” che piomba su uno stomaco già affaticato dalle ricche portate precedenti, impedendo di assaporare appieno la bontà di noci e nocciole e, per giunta, rischiando di rallentare o bloccare una digestione già sufficientemente complicata.

E il peccato diventa doppio se si decide di eliminare, in nome di una migliore digeribilità, questi frutti anche dal menù delle feste, perché così ci si priva degli importanti nutrienti contenuti in questi semi (vedi oltre), fondamentali per assicurare una buona salute al nostro organismo.

Basterebbe spostare il consumo a un momento meno sovraccarico, per esempio alla colazione, mescolandoli al muesli o facendone l’ingrediente di una torta, oppure alla merenda: avete mai provato la bontà di un semplicissimo “pane e noci”?

Noce, rifiutata dai Romani

La noce si ama o si odia. Si adora per il gusto unico e inconfondibile che solletica le papille gustative. Si detesta soprattutto per le difficoltà digestive che provoca, il che non meraviglia dati i lunghi tempi di permanenza nello stomaco, circa tre ore e mezza, sempre che le noci non abbiano compagnia, nel qual caso i tempi si allungano.

Il problema non è recente, tanto che se n'erano accorti già i Romani: il naturalista Plinio e il medico Dioscoride la definivano di difficile digestione, mal tollerata dallo stomaco e addirittura responsabile del colera; tutt'al più si poteva gettare ai convitati a un matrimonio, per significare le nuove responsabilità assunte dagli sposi, ma quanto a cibarsene... meglio lasciarla agli animali! Il pesante giudizio viene però riscattato nel II sec. d.C. dal medico Galeno, che ne afferma la validità come tonico e astringente, proprietà oggi confermate assieme a un’ulteriore, interessante virtù: bastano tre sole noci al giorno per abbassare progressivamente il colesterolo “cattivo” Ldl e salvare la salute del cuore!

I Romani ne utilizzavano il legno, molto duro e assai pregiato in ebanisteria: l’albero è molto vigoroso, poiché può arrivare fino a 20 m d’altezza, e longevo, perché esistono esemplari centenari. La sua coltivazione è molto facile: ha solo bisogno di molto spazio perché le radici si allungano molto nel terreno; per il resto resiste bene al caldo (ma non alla salsedine) e al freddo, non ha bisogno di grandi concimazioni perché le radici esplorano un’ampia zona di terreno, non va potato se non per eliminare rami secchi o spezzati, ha due soli nemici: l’antracnosi, malattia fungina prevenibile con poltiglia bordolese, e il verme della noce, da controllare con le trappole di cattura.

La noce, un frutto “cerebrale”

I frutti sono di forma diversa a seconda della varietà, ma sono sempre costituiti da una buccia (“epicarpo”) sottilissima e da un mallo (“mesocarpo”) carnoso e verde, dall’odore molto caratteristico, secernente un succo che macchia di marrone-olivastro le dita di chi lo tocca, se non ha la pazienza di aspettare che si spacchi da solo e si allarghi lasciando cadere la noce. Il mallo nel tempo diventa nero perché contiene molti tannini, e poi marcisce. Dal frutto fresco, con il mallo ancora giovane, si ricava un liquore ottimo e potente, il nocino (vedi oltre).

La noce vera e propria è formata dal guscio (“endocarpo”) legnoso separabile in due valve contenenti il gheriglio, coperto da una pellicola che imbrunisce a maturità. Il gheriglio è diviso in quattro lobi separati da un tramezzo membranoso che nel tempo si secca e s’indurisce. La forma ricorda vagamente il cervello, tanto che nel ’500 il medico Paracelso, inventore della Teoria dei Segni (che abbinava le piante agli organi umani in base alla loro forma o colorazione, reputandole indicate a curare i disturbi dell’organo simile), prescriveva questo frutto per risolvere i disturbi cerebrali: dal semplice mal di testa fino alla pazzia…

La raccolta dei frutti avviene in settembre: si può procedere a mano, aspettando la naturale caduta a terra delle noci, oppure scuotere le branche con pertiche, stando attenti a non ledere i rami; per facilitare l'operazione è consigliabile stendere reti a maglia fitta sotto gli alberi. Nei noceti industriali, su ampie superfici, è anche possibile meccanizzare completamente la raccolta, tramite l'utilizzo di scuotitori e raccattatrici meccaniche.

Una volta raccolte, le noci vanno private dei residui di mallo: per uso familiare si stendono in un solo strato ad asciugare per una-due settimane in un luogo asciutto e ventilato; per impiego commerciale vengono lavate, essiccate e imbianchite utilizzando in genere anidride solforosa oppure una soluzione di ipoclorito di sodio (vedi oltre). In locali asciutti e aerati i frutti possono essere conservati anche per 6-7 mesi, sgusciandoli al momento dell'uso, per evitare l'irrancidimento (vedi box).

La produzione è molto variabile e può andare da pochi chilogrammi fino a 50-70 kg/pianta, corrispondenti a 20-25 q/ha.

Sorrento, in attesa dell’Igp

Il mercato offre noci di tutte le nazionalità: iraniane, turche, greche, rumene, francesi, spagnole, californiane e italiane, le ultime due più costose ma più sicure sotto il profilo sanitario. Tra le nazionali, le più pregiate sono quelle di Sorrento, e in generale quelle provenienti dalla Campania, terra vocata alla produzione di questi squisiti frutti.

Nella noce di Sorrento il gheriglio è di colore bianco crema, poco oleoso (capace perciò di conservarsi bene per un certo tempo), sostanzioso, tenero e croccante, di sapore gradevolissimo, con aroma e retrogusto del tutto particolari, sia se gustato fresco sia se consumato dopo un periodo di conservazione. Inoltre, a differenza di quanto accade negli altri tipi di noce, può facilmente essere estratto integro, il che lo rende molto apprezzato dai palati e dall'industria dolciaria.

Le primissime noci sorrentine, ancora acerbe, vengono vendute solo in Campania tra fine agosto e i primi di settembre, e sono una vera specialità. Ma la raccolta, manuale, si concentra nei mesi di settembre e ottobre, dopodiché le noci vengono messe a essiccare all'aperto, su graticci, in zone ben ventilate. Ora per la Noce di Sorrento, così buona, gradita dal mercato e tanto saldamente legata ai suoi ambienti storici di produzione, è in arrivo l'atteso riconoscimento dell'Igp: da tempo sono stati avviati dalla Regione Campania gli studi preliminari per la redazione del disciplinare di produzione e di tutta la documentazione necessaria per avanzare la richiesta di registrazione.

La varietà Sorrento, spesso propagata per seme e quindi caratterizzata da variabilità dei frutti, è però indicata solo per le regioni meridionali, perché nel Nord Italia soffre per il freddo. Altre varietà italiane di importanza locale sono Bleggiana, Feltrina e S. Giovanni.

Accanto alle varietà italiane, meritano infine di essere citate le cultivar francesi (Franquette o Noce Nero Americano, Mayette, Parisienne) e californiane (Chandler, Eureka, Hartley, Lara); le californiane risultano produttive e di precoce entrata in produzione, ma sono sconsigliate negli ambienti del Nord Italia per la sensibilità ai freddi invernali e primaverili.

Nocciola, la più amata dai Romani

Gli estimatori delle nocciole si rintracciano a partire dall’epoca classica, quando Greci e Romani se ne rimpinzavano in piatti dolci come il croccante, ma anche salati come la selvaggina, e ambientavano poi nei noccioleti numerose scene di vita pastorale. Catone il Vecchio ne consiglia la coltivazione nell’orto, dando la preferenza ai famosi noccioli di Avella (Campania), che hanno fornito il nome scientifico alla specie, Corylus avellana. L’amore a prima vista da parte di queste antiche civiltà verso il tondo frutto scaturisce, oltre che dal sapore inimitabile, anche dalla facilità di digestione (vedi oltre), che si acuisce tostando leggermente il seme.

Ha contribuito alla diffusione anche la semplicità di coltivazione, dato che il nocciolo può vivere ovunque, dalla pianura all’alta montagna: teme solo le gelate primaverili e il gelo durante la fioritura, che avviene in gennaio-febbraio. Come il noce, non richiede potature né interventi contro i nemici, riassumibili in uno solo, il balanino (verme della nocciola), che si allontana arieggiando la chioma. L’arbusto presenta rami che partono dal ceppo se il fusto principale viene capitozzato e che possono raggiungere i 9 m d’altezza: questi flessibili fusti sono stati intrecciati fin dalla Preistoria per produrre manufatti come cesti e gerle.

Nocciole, frutti simili alle ghiande

I frutti crescono in gruppi di 2-4 e hanno quasi l’aspetto di una “ghianda”, con una “cupola” avvolgente, più o meno larga e frastagliata in cima, simile a foglie, e con un guscio (“pericarpo”) legnoso. Questo contiene una “mandorla” (seme) bianco-crema, avvolta in una pellicola prima giallina e poi marroncino-rossastra quando si è seccata. Sono molto apprezzati dalle bestiole del bosco, alle quali bisogna contenderli: sfamano infatti durante l’inverno topi e scoiattoli, ma sono graditi anche da colombacci, ghiandaie e fagiani.

I frutti possono essere a maturazione precoce (già a metà agosto) oppure tardiva (fine settembre) a seconda della varietà. Vanno raccolti quando il guscio ha già assunto un certo color nocciola e si stacca dalla cupola senza difficoltà, semplicemente facendo una leggera pressione con il dito. Si fanno asciugare disponendoli su stuoie in un luogo ventilato e ombroso per almeno una settimana. Industrialmente, la raccolta avviene con una macchina scuotitrice, prelevando poi i frutti caduti dai teli stesi nel noccioleto.

Trattandosi di un seme oleoso, al momento dell’acquisto – come per la noce – bisogna assicurarsi che si tratti del nuovo raccolto. La conservazione deve avvenire in un luogo fresco e asciutto, sgusciandole al momento dell'uso, per evitarne l'irrancidimento.

Due Igp e una Dop

La Campania primeggia in Italia anche per la produzione di nocciole, e non da ieri, visto che la località campana di Avella ha dato il nome alla specie. Infatti, se l’Italia produce il 20-21% delle nocciole mondiali, l’apporto della Campania copre il 60% del fabbisogno nazionale. Seguono poi il Piemonte, il Lazio e la Sicilia, dove si coltivano diverse varietà, tra cui le più pregiate hanno il guscio ovale-allungato. Le più economiche (e meno pregiate) vengono invece dalla Turchia e dalla Spagna, oppure da Portogallo e Grecia.

In particolare, Piemonte, Campania e Lazio sono le regioni che possono vantare in totale due nocciole Igp e una Dop, riconosciute grazie alla lunga tradizione di bontà espressa dalle tre varietà in questione.

La Nocciola del Piemonte Igp è la Tonda Gentile delle Langhe, la cui produzione è concentrata nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, in un areale compreso tra le colline delle Langhe, del Roero e del Monferrato. È particolarmente apprezzata dall'industria dolciaria per i suoi parametri qualitativi quali la forma sferoidale del seme, il gusto e l’aroma eccellenti dopo la tostatura, l’elevata pelabilità e la buona conservabilità.

Onore e vanto storico della Campania è la Nocciola di Giffoni Igp, di cui si ha notizia certa fin dal 1787, quando Vincenzo De Caro la cita nella sua opera Commentarj sull’antico e moderno stato di Giffoni. Negli anni ’50 la Tonda di Giffoni si è estesa assumendo un ruolo significativo tra le colture della zona: le condizioni pedoclimatiche ottimali hanno sempre consentito produzioni uniformi e costanti. Oggi il nocciolo, con i suoi 3.000 ettari, costituisce non solo un elemento caratteristico del paesaggio della Valle del Picentino e dell’Irno, in provincia di Salerno, ma anche la principale fonte di reddito per le aziende agricole: il frutto riesce a spuntare un prezzo del 15-20% superiore a quello delle altre cultivar della Campania e d’Italia.

La maturazione è precoce e la raccolta avviene a partire dalla terza settimana di agosto, dopo che il terreno è stato preparato per la raccolta meccanizzata. Dopo la raccolta avviene la sgusciatura e la prima cernita, a cui segue l’essiccazione, che si svolge ancora oggi in larga parte al sole su graticci per circa tre giorni: serve per abbassare l’umidità del seme al 5-6%, valore ottimale per evitare il deterioramento dei grassi, i conseguenti fenomeni di irrancidimento e di sviluppo di muffe. La produzione è destinata in massima parte alle industrie dolciarie, da quelle campane alle più famose sul territorio italiano, grazie alle caratteristiche del prodotto. La Tonda di Giffoni rappresenta il 4-5% dell’intera produzione nazionale di nocciole, con una produzione annua di 70mila quintali pari a un valore di 16 milioni di euro l’anno, che riguardano 12 Comuni campani e 1.200 aziende di produzione.

Nel Lazio, precisamente in alcuni comuni di Viterbo e Roma, si coltiva la Nocciola Romana Dop: fin dal 1412 la Tonda Gentile Romana è stata oggetto di un paziente e tenace lavoro da parte dei coltivatori, che nel corso dei secoli hanno svolto un ruolo importante nel creare un prodotto dalle elevate caratteristiche qualitative. Sono circa 4.500 le aziende che producono tra 400 e 450mila quintali all’anno di nocciole, con un fatturato di 42 milioni di euro.
 Tessitura compatta e croccante, senza vuoti interni, con sapore e aroma finissimo e persistente: sono queste alcune peculiarità della Dop, a cui sono legate numerose sagre paesane e molteplici ricette tipiche, a dimostrazione dell’importanza che questa coltura riveste nell’economia locale.

Conservanti a rischio

Il conservante principale per la frutta secca è l'anidride solforosa (E 220), affiancata da vari solfiti (E 221-228), che impediscono lo sviluppo di batteri e muffe, e contrastano l'imbrunimento delle polpe e dei gusci, regalandoci noci bionde come un campo di grano. Ma l'occhio appagato forse non sa che la stessa anidride solforosa distrugge la vitamina B1, provoca perdite di calcio ed è anche tossica, soprattutto per soggetti asmatici. Può anche entrare attraverso aperture del guscio fino a raggiungere il seme.

La legge italiana consente di aggiungerla alla frutta secca in ragione di 600 mg al kg, dichiarandola però in etichetta, il che raramente avviene, come dimostrano i frequenti test sulla qualità degli alimenti. In alternativa, sono preferibili noci sbiancate con ipoclorito (la normale candeggina). L'ideale è la frutta secca biologica, con noci nerastre e nocciole screziate, sicuramente meno belle a vedersi ma assolutamente sane, da mangiare in fretta perché si conservano solo per qualche mese.

Una nota: le noci brasiliane, dal guscio durissimo, sono generalmente prive di trattamenti conservanti, mentre le noci pecan subiscono anche un processo di lucidatura del guscio.

Noci, uno scrigno di salute 

In un etto di noci sgusciate, accanto al 16,6% di proteine, si trovano il 12% di zuccheri e addirittura il 63% di grassi, peraltro monoinsaturi (oleico, linoleico, linolenico e arachidonico), quindi benefici per la salute, a patto di non esagerare nelle quantità. Le calorie sono ben 695 per etto. Ma le noci si fanno perdonare grazie al contenuto in minerali, fra i quali si segnalano 450 mg di fosforo, 700 mg di potassio, 130 mg di magnesio, 149 mg di zolfo, 88 mg di calcio e 2,1 mg di ferro.

Mangiate noci per favorire le funzioni vitali, grazie allo zinco che migliora l’attività delle vitamine; per tonificare il sistema nervoso e rinforzare le ossa, grazie a calcio, potassio e fosforo; per calmare l’intestino, grazie all'olio essenziale, potente disinfettante, antisettico e vermifugo; per combattere l'anemia, in virtù di rame e ferro; per abbassare il colesterolo Ldl, grazie all'olio ricco di acidi grassi insaturi; per diminuire la glicemia.

Nocino, delizia di fine pasto 

Per tradizione, la raccolta delle noci avviene nella notte che precede il 24 giugno, S. Giovanni, quando i giovani frutti, bagnati della rugiada notturna, sono ancora immaturi, con mallo verde e sano. Le noci, raccolte con delicatezza dai rami esterni, si ammollano per sei ore in acqua, poi si lasciano asciugare bene e si tagliano di netto in quattro parti.

In un capace vaso di vetro a bocca larga si mettono 19 noci (cioè 76 spicchi) coprendoli con un litro di alcol a 95°, e aggiungendo pezzetti di cannella, scorzette di limone, 10 chiodi di garofano e 5 bacche di ginepro.

Si espone il vaso al sole per 45 giorni, agitando bene il recipiente ogni 5 giorni. Poi si filtra il liquido con un colino di plastica o di acciaio inox a maglie fitte, si aggiungono 450 g di zucchero, si rimette al sole il barattolo agitandolo una volta a settimana per un altro mese. Infine, si imbottiglia e si chiude con tappo di sughero nuovo e sano in bottiglie di vetro scuro. Si può bere dopo almeno sei mesi di riposo al buio e al fresco.

Nocciole, le più digeribili 

Rispetto alla noce, un etto di nocciole sgusciate (625 kcal) contiene gli stessi grassi e proteine, mentre gli zuccheri si riducono all’1,8%, a fronte di un deciso aumento delle fibre (6,7%), fondamentali per attivare le funzioni intestinali. Oltre a un interessante contenuto in vitamina A (30 mcg), spiccano il potassio con 466 mg, il fosforo con 322, il calcio con 150 e il ferro con 3,3 mg.

La nocciola è la più digeribile e leggera tra tutta la frutta secca oleosa: offre un rifornimento di energia a lunga durata mediante gli abbondanti grassi; favorisce le funzioni vitali e stimola il metabolismo grazie allo iodio; provoca un leggero rialzo della pressione; è consigliata ai diabetici, perché abbassa la glicemia; in passato veniva raccomandata contro l'impotenza.

Può però dare luogo a fenomeni di intolleranza alimentare o di vera e propria allergia: spesso la responsabile è la buccia, che si può eliminare facilmente ponendo per 15 minuti le nocciole sgusciate in forno a 60°, strofinandole poi una per una tra le mani.

Occhio all'acquisto

Tutta la frutta secca in commercio dura circa un anno, dopodiché tende a irrancidire, visto il contenuto in grassi, o ad ammuffire: la frutta confezionata deve avere la data di scadenza in etichetta.

Il prodotto sciolto è più economico, ma offre minori garanzie di igienicità e di controlli, a meno che non sia in vendita all'iper o al supermercato, dove ogni partita subisce una serie di indagini. Attenzione nell'imminenza delle feste natalizie, quando possono essere commercializzati frutti sciolti dell'anno passato, solo parzialmente riconoscibili per l'eccessiva leggerezza.

La frutta confezionata in busta o scatola è più conveniente nelle taglie maxi, ma va poi consumata prima dell’estate. Quella già sgusciata è la soluzione più pratica, in vendita nelle versioni normale (sciolta o in busta), sottovuoto o addizionata di gas inerti (anidride carbonica e azoto), il cui prezzo sale proporzionalmente, e la cui conservabilità è comunque inferiore al seme con guscio. Conviene quindi solo per necessità immediate o per inguaribili pigri. Se, per comodità, ne sgusciate grandi quantità, chiudete i semi in vasi di vetro da tenere in frigorifero, e consumateli entro un mese.

 

 

 

Noci e nocciole, il gusto si sgranocchia - Ultima modifica: 2022-01-06T06:12:12+01:00 da Elena Tibiletti